“I soldi non si mangiano”. Ma lo sappiamo?
– Carmelina Fiorentino –
A Capri chi nasce albero ha vita difficile, potremmo dire parafrasando il WWF di Sorrento che ha protestato con esposto per danneggiamento paesistico contro un taglio massiccio di lecci che toglievano la visuale ad un albergo a Il Capo. Credo che una volta arrivati a citare Decreti Legge (42/2004), Codice dei Beni Paesaggistici, etc., si è già perso, poiché è palese la mancanza di rispetto ambientale dell’intera comunità. Siccome noi non vogliamo pensare che ci siano agronomi o tecnici che stilano perizie di comodo e che si fanno beffa delle normative, cerchiamo di capire cosa succede, invece, a Capri. La forestazione dell’isola nasce negli anni Trenta, dopo il Convegno del Paesaggio, quando Norman Douglas e Edwin Cerio decisero di piantare in zone brulle o nelle aree archeologiche centinaia di pini di Aleppo. Man mano che diminuiva la necessità di legna per il fuoco, il verde diventava di per sé bene paesaggistico, aumentava la sensibilità ambientalista e l’isola vantava luoghi, come la strada per l’Arco Naturale o Via Krupp, che integravano alla perfezione l’opera d’arte umana e quella naturale, che finiscono per non essere più distinguibili. Da trenta anni a questa parte, da quando col disinteresse dei cittadini e la scientifica riduzione al silenzio – con diversi sistemi – dei pochi ambientalisti rimasti, è cominciata un’opera di sterilizzazione dal verde che nemmeno Saint Moritz ha mai conosciuto. Il nostro centro storico diventa sempre più asettico (inteso come meno verde e non come più pulizia!).
La manutenzione del verde non è più contemplata e pertanto diventa indispensabile eliminare quegli alberi che – se curati – avrebbero rappresentato una nota distintiva per l’isola azzurra (oltre che schermi solari e sonori) e che mal tenuti rappresentano un pericolo per le persone. Il suicidio degli eucalipti del Barbone, la malattia letale dei lecci di Tragara, la decapitazione dei cipressi di Villa Helios, l’annunciato abbattimento dei pini – grandi e piccoli – della scuola di Tiberio, l’originale conformazione nonché causa di abbattimento del pino di Tragara, gli oleandri che intralciano il cammino e l’ingresso, le palme malate o a rischio in giro per l’isola e via distruggendo, sono solo alcuni degli interventi passati nel silenzio e nell’indifferenza più totali. L’ambiente a Capri o serve all’economia o non serve. Per carità: continuiamo ogni anno a piantumare piantine annuali nelle aiuole delle scuole facendo finta di amare il verde, a dare in affidamento a privati parchetti e spazi verdi che li usano – legittimamente – per farci altro; la verità è che di quegli spazi, di quei viali alberati, di quei monumenti viventi in giro per l’isola non ci importa assolutamente nulla. E… non ci piace nemmeno il progetto di fioriere artigianali con piante endemiche sulle scale della Chiesa.
Il Parco Augusto? Curatissimo, perché c’è biglietto d’ingresso. Il Parco della Certosa? Abbandonato perché non ‘rende’ (suggerisco di organizzarci un saggio di danza, magari qualche cittadino si accorge dello stato di abbandono). I Giardini della Flora Caprense? Ormai nemmeno si notano più gli alberi che vi sopravvivono. Il progetto originario, quello che il benemerito Antonio Palumbo aveva pensato e progettato, è svilito, offeso, cancellato e – quel che è peggio – senza nessuna valida alternativa..
Concludo rubando una citazione che credo riassuma bene educazione, cultura e politiche ambientali sull’isola: “quando l’ultimo albero sarà stato tagliato, ci accorgeremo di non poter mangiare i soldi”.