Un caffè con Capri #17 – Il peso insostenibile della bellezza

di Michele Di Sarno. –

La Signora cammina nervosamente nel salone, dopo aver tracannato il caffé in appena un sorso e lasciandomi inchiodato alla sua poltrona in velluto rosso, oggi decisamente meno comoda per me. Al mio continuo ma inerme sguardo inseguitore, l’anima dell’isola si ferma di colpo e mi fissa.

“Sa qual è il mio più grande tormento? Non poter fare nulla, oltre che esserci e resistere all’erosione continua del tempo. È un periodo assurdo per tutti voi ed io non posso fare altro che aspettare che passi, che maturino le condizioni affinché torniate ad essere felici. È lancinante!
Ho sentito, sa, alcuni di voi rinnegarmi per la poca stabilità che offro, per le scarse opportunità di alternativa al turismo che si ricavano dal mio territorio: questo mi fa star male, perché io non ho né colpe né meriti, ma lo comprendo. Io, semplicemente, esisto
: nulla più.

Questa sensazione, con le dovute e rispettose proporzioni, mi ricorda tutte le volte in cui qualcuno mi ha scelto come teatro per la propria uscita di scena. Quanti, caro mio, quanti si sono tolti la vita – o ci hanno provato – gettandosi nel mare intorno a me! Potevo fare qualcosa? No, soltanto guardare e chiedermi perché avessero scelto proprio me. Turisti innamorati e non ricambiati, ex soldati straziati, qualcuno che non sopportava questa maledetta stagionalità che si è scelto di perseguire…

Mi viene in mente, già che siamo in aprile, la storia di un poveretto che fece “13” al Totocalcio, investì ingenuamente quella somma, fu derubato e decise di farla finita qui, per fortuna non riuscendoci. Le ho conservato l’articolo, per non darle modo di credere che la mia angoscia sia sproporzionata.
Io, isola di Capri, conosco il dolore dell’uomo ma non ho potuto né mai potrò lenirlo: posso solo invitarvi a resistere ancora e a tenermi pronta per tornare a splendere, a dare lavoro e stabilità alle vostre famiglie.
Vi voglio bene, nel vero senso dell’espressione: non voglio, né desidero altro che il vostro bene”.

Ritiro il ritaglio e, commosso forse quanto Lei, vado via.

Corriere della Sera, aprile 1958