Scrivo da Capri #14 – La compagna di viaggio

Il mare azzurro e calmo si stendeva davanti a me tutte le volte che me ne andavo, mentre tutte le volte che dovevo raggiungerla era mosso e la nave danzava sulle onde. Ho cominciato a fare caso a tale fenomeno soltanto dopo il primo anno di fidanzamento. Era un segno premonitore, ma io non ero stato attento a coglierlo. A mia discolpa pongo la questione dell’innamoramento. Ero talmente attratto da lei, che ogni ostacolo mi sembrava banale e facile da superare. Non mi pesava affrontare il tratto di mare che ci separava, perché poi tra le sue braccia mi dimenticavo immediatamente di avere sofferto per i marosi. Tutti i fine settimana trascorsi con lei erano la mia valvola di sfogo allo stress del lavoro. Il venerdì alle diciassette cominciava la mia felice vacanza isolana con la donna che mi aspettava e che mi riempiva di attenzioni. Ero proprio innamorato cotto e glielo ricordavo ogni volta che potevo. Le passeggiate notturne a piedi nudi sulla spiaggia erano rilassanti alla stregua di un massaggio. Le notti nella casa con vista sul golfo, illuminata soltanto dalla luna che entrava dalla finestra, erano piene d’amore. L’isola aveva un profumo diverso a ogni stagione e io ne ho goduto fino a che il destino ha voluto farmelo assaporare. Le storie d’amore hanno un inizio, un esordio travolgente, un cammino pieno di piaceri, poi raggiungono un apice dal quale comincia una discesa inesorabile. Con il trascorrere degli anni, ero rimasto vittima di quel nefasto ripetersi di consuetudine che mi aveva portato a osservare meglio le cose. Lei non era poi così bella, non era così dolce e amorevole, aveva pian piano perso la capacità di farmi stare bene, non era più la mia irresistibile compagna di viaggio nel golfo, colei che mi aspettava sul molo allo sbarco e che restava sull’ultimo scoglio per accompagnarmi con lo sguardo fino a che la nave spariva alla vista.
Tutto era cominciato per caso, offrendole prima un riparo sotto al mio ombrello una mattina di gennaio, sorpresi da una improvvisa pioggia sul molo, in attesa del traghetto, poi una cioccolata calda al bar del porto. Quando uscimmo dal bar non pioveva più e non era necessario aprire l’ombrello, ma ugualmente me la trovai attaccata al braccio come stavamo prima di entrare. Nel traghetto occupammo due poltrone vicine e dopo poco appoggiò la testa contro la mia spalla e si addormentò. Lessi quel suo gesto come un abbandonarsi a qualcosa di sicuro, di affidabile e istantaneamente mi autonominai suo custode. Scambiarci un bacio all’uscita del traghetto ci sembrò una cosa normale. Nessuno dei due aveva espresso una dichiarazione d’amore all’altro, ma fu come se lo avessimo fatto, perché quella sera, dopo aver espletato il mio compito sull’isola, non me ne tornai a terraferma. Restai con lei, accettando il tacito invito rivoltomi quando mi venne a cercare sulla banchina di imbarco. Avevo già fatto il biglietto, ma finì intatto nel cestino della spazzatura di casa sua. Ora che ci penso, abbiamo fatto tante cose senza definirle prima, senza discorrerci su, senza chiedercelo, lasciandoci trasportare dal cuore e dal desiderio. Anche il saluto finale era avvenuto alla stessa maniera. L’ultima traversata di quel braccio di mare mi è rimasta nel cuore, così come mi è rimasto il suo nome. Spero che sia felice anche senza di me.

Guido Rella