Un caffè con Capri #10 – Un silenzio…marziano

Michele Di Sarno. –

Un chiasso festoso arriva dal bar: penso subito sia la tv del salottino o un video dai social sul cellulare di qualcuno. Come sempre, mi sbaglio: avvicinandomi, curioso, alla porticina che attraverso ogni giovedì per parlare con la Signora (anzi, per ascoltarla e appuntarne ogni parola), sento questi suoni di gioia aumentare di volume. La porta è socchiusa e questo mi dà un pretesto da utilizzare qualora mi venisse rimproverato il fatto di essere entrato, perché sto entrando.

Il cortile della Signora è tutto un volo di palloncini che dribblano il profumo di vaniglia, le piramidi di panini farciti di cioccolata e le mani dal moto casuale e perpetuo dei bambini dell’isola. Sono tutti qui, coi giubbini leggeri sopra i grembiuli a correre e giocare. E poi ancora: altalene, girotondi, muretti su cui i più grandi stanno a cavalcioni a ridere di chissà cosa.

La signora è al balcone. affacciata su questo spettacolo che riconcilia con la luminosità della vita, anche quella che ci è stata opacizzata nell’ultimo anno: “Vedo che anche lei non ne poteva più di quel silenzio, là fuori: ha fatto bene a venire qui.

Non posso accettare che a marzo non vi sia la corsa dei bimbi nelle braccia dei genitori, fuori la scuola, mentre gli chiedono di andare al parco per approfittare delle ultime ore tiepide della giornata. Mi mancano le loro piccole e improbabili bancarelle sullo spiazzale a Tiberio o alla Croce, mi manca il solletico dei loro gessetti mentre disegnano lo schema per giocare a “campana“.
Sono abituata, poi, ad ascoltare i ragazzi parlare di piccole infatuazioni o di gelosie mentre si lamentano dei compiti di troppo: mi diverte ascoltarli anche quando parlano mossi dall’ingenuità, che è il primo passo verso la consapevolezza. D’altronde, io dipendo da ciascuno di loro…se solo fossero intenzionati a rimanere tutti qui!”

Una profonda amarezza tradisce il timbro della Signora, il cui tono resta sempre perentorio: “Da grandi, ne ho sentiti di ragazzi dire che non offro opportunità di crescita e quanti hanno avuto ragione nell’andar via! Non sa quanto soffra nel vedere questi bambini, che saranno quei ragazzi, non godere nemmeno del minimo che finora ero riuscita a garantirgli: una scuola e quel che di bello ne consegue. Non è colpa di nessuno, certo: eppure, ricadrà sul bilancio che faranno alla prima prova di maturità, quella con sé stessi, a cui si sottoporranno tutti, prima o poi.
Ne perderò, ne perderemo tantissimi, temo.”

La festa, almeno per me, è già finita.