I fogli nel cassetto #8: Capri e la Cina
di Ugo Canfora.
Scrivo queste righe mentre sono in Cina su un treno ad alta velocità. Da quando studiavo qui, più di dieci anni fa è cambiato tutto. I caratteristici vicoli di Pechino, gli hutong, hanno lasciato spazio a moderni palazzoni, o nella migliore delle ipotesi ad una versione “luna park” della vecchia città. La metro arriva ovunque, sta soppiantando i vecchi autobus completamente. Non parliamo poi dei monumenti e di attrazioni turistiche: i padiglioni della Città Proibita sembrano essere stati costruiti l’altro ieri.
Tutto è diverso, più frenetico, indubbiamente più efficiente. Tutti costantemente col naso sul telefonino, con il quale si paga ovunque, si prenotano i biglietti d’ingresso del cinema, dei parchi e dei monumenti. Tutto ciò scansionando dei codici a barre, addio contante.
Molto alienante, ma intanto io ancora mi perdo fra bancomat, banconote, monetine, biglietti e ricevute. Ho sempre storto il naso riguardo questo pragmatismo cinese, questo non preoccuparsi del passato in nome del futuro e della praticità. Quando ero studente ho annoiato fino alla morte i miei amici cinesi, ed adesso da turista cerco di attaccare bottone con i locali, ricominciando con la solita solfa su come tutto era più bello quando era più “vecchio”. Mi rispondono con cortese accondiscendenza ma lo so, credono che io non capisca niente. Sono sempre stato fiero di come noi italiani cerchiamo sempre, almeno a parole, di preservare l’aspetto storico dei nostri luoghi, e ne ho sempre fatto un vanto.
Ma adesso, con un po’ di tempo libero per riflettere, mi assale un dubbio: vuoi vedere che hanno ragione loro?
Penso a quando guardiamo vecchie foto dell’isola allo stato brado e selvaggio, mulattiere, bambini scalzi, pescatori con le facce bruciate dal sole, una sconfinata dignità ma anche tanta miseria e difficoltà quotidiane. Eppure stiamo sempre a sospirare su quanto erano belli quei tempi, che la maggior parte di noi non ha vissuto nemmeno. Il nostro istinto a conservare spesso, in buona fede, sconfina nell’immobilismo. Ogni cambiamento ci preoccupa e siamo restii ad accettarlo. Il mondo cambia e noi cambiamo, cambiano le nostre esigenze e nel caso di noi capresi cambiano anche le esigenze di coloro che accogliamo. Piuttosto di spaventarci di snaturare i nostri luoghi forse dovremmo spaventarci di come siamo cambiati noi. Certo il paragone tra la Cina ed il nostro scoglio è azzardato, ma a volte nei paragoni assurdi si trova qualche spunto di riflessione. Intanto vediamo se in queste otto ore di treno, con metropoli e campagne che si susseguono a folle velocità fuori dal finestrino, riesca a convincermi di nuovo che forse i cinesi non hanno ragione.