Scrivo da Capri #11 – Una insolita passeggiata

Aveva sempre avuto il piacere di uscire, persino se pioveva, ma quella mattina faceva i capricci. Certe volte mi veniva a chiamare e mi tirava per i pantaloni; altre volte si metteva davanti alla porta, seduto e mi aspettava, come se io avessi saputo calcolare l’ora della passeggiata; altre volte mi portava il guinzaglio per farmi capire che voleva uscire. Quel giorno, invece, non ne aveva voglia. Lo chiamai tre volte, andai a cercarlo nel suo cesto senza successo, poi finalmente lo trovai accucciato sotto il letto di mio padre. Lo esortai a uscire da lì a voce alta, ma non ne voleva sapere per niente. Mio padre dormiva profondamente e poi, a causa della età avanzata, aveva quasi perso l’udito. Pensai che il cane avesse captato qualcosa nell’aria; loro hanno alcuni sensi più sviluppati dei nostri. Cercai di prenderlo con le buone.“Su, dai, muoviti che è ora. Andiamo a fare la passeggiata. Ti porto ai giardinetti dove c’è anche il tuo amico pastore tedesco”.

A fatica, venne fuori da sotto al letto, si fece mettere il guinzaglio e la museruola e uscimmo. Ai giardinetti c’erano anche i suoi compagni di giochi, i quali appena lo videro, gli corsero incontro come sempre: chi lo spingeva, chi lo tirava, chi gli abbaiava contro, ma lui non partecipava. Non era la giornata giusta. Due isolati più avanti c’era lo studio del veterinario. Lo portai e chiesi al dottore di visitarlo. Lui lo prese in braccio e se lo portò in ambulatorio. Io rimasi fuori, nella sala d’aspetto a conversare con una signora preoccupata per la vaccinazione del suo gattino. Quindici minuti dopo, il dottore mi venne a chiamare per farmi entrare nel gabinetto dove il mio cane stava fermo sul lettino.”Credo che sia meglio se vi lasci soli due minuti. Dovrebbero essere sufficienti per l’ultimo saluto. Nel frattempo preparo l’iniezione, così non soffrirà più”.

Guardai negli occhi il dottore che non resse il mio sguardo pieno di domande e abbassò la testa. Il mio cane respirava a fatica e non mi degnava della benché minima attenzione.“Dottore, è finito il suo tempo?”

Il dottore strinse le labbra in segno di assenso. Lo accarezzai per l’ultima volta, poi mi feci da parte in un angolo della stanza. Il dottore gli fece la siringa e lui se ne andò per sempre.“Vuole portarlo con sé, oppure me ne occupo io?” mi chiese. “Faccia lei, grazie”.

Tornai a casa con in mano un sacchetto con dentro il guinzaglio, la museruola e uno scatolino di plastica marrone sul quale c’era inciso il suo nome.

Guido Rella