Un caffè con Capri #4 – A proposito del “mito”…

di Michele Di Sarno.

Ormai conosco la strada.
La porta di servizio del bar e quel campo disseminato di memoria che è la villa di Capri, la Signora che ho l’onore di incontrare anche oggi. Mi perdo nel vialetto costeggiato dagli ombrelloni chiusi coi vecchi sponsor della Cinzano e del Punt e Mes, ma una voce forte mi riporta all’attenzione, anzi, all’ “Attenzioni!!!”, dato il termine pronunciato dal simpatico signor Pasquale, coi baffi e la pipa, vestito con una maglietta rossa a righe mentre si fa largo sul suo carrello, uno di quelli che si guidavano in piedi.

“Si accomodi, venga!”.
L’inconfondibile tono calmo e rilassante della Signora mi ha già introdotto in casa senza che mi accorgessi del resto del vialetto da percorrere.
I caffè sono già sul vassoio poggiato sul largo palmo del solito, esperto attendente, che ormai mi dà sempre più l’idea di un custode che di un cameriere.
“Sono contenta che finalmente abbiate avuto un paio di giorni di sole“, introduce, usando una frase climaticamente perfetta per rompere il ghiaccio. Illudendomi che fosse un’apertura ad una sorta di confidenza, mi lascio scappare con una certa superficialità che, oltre al sole, servirebbero anche i turisti.
Il suo sguardo si fa severo, ma capisco subito che era proprio lì che voleva andare a parare. Mi permetto solo di aggiungere, cercando di salvarmi in calcio d’angolo, che è grazie al suo mito se abbiamo avuto ciò che abbiamo avuto e ciò che torneremo ad avere, presto o tardi.

“Il mito…”, sogghigna e sospira, “il mito siete nel pieno diritto di ridimensionarlo, perché voi l’avete reso tale, non io che, come ogni Madre Terra che si rispetti, proteggo solo chi vi si radica.
La pandemia, veda, è quella che voi chiamate ‘causa di forza maggiore’: credo abbiate prova tangibile del fatto che tante persone siano rammaricate di non poter venire qui e che le stesse siano pronte a farlo non appena sarà possibile. Ma ha mai provato a pensare a cosa accadrebbe se d’improvviso l’accezione comune che mi viene attribuita, con tutti quegli aggettivi entusiasti, non dovesse essere più così plebiscitaria? D’altronde, siete nell’epoca della pluralità di pensiero: potrebbe accadere che si formi una corrente che vuole che Capri non sia più una meta irrinunciabile, perché non è poi così bella per certi canoni estetici
“.

La interrompo con un silenzio che traduce la mia impreparazione a questo scenario.

“Non è una novità – continua, per rafforzare quell’idea finora inconcepibile – l’esistenza di qualcuno che dice che Totò non faccia ridere, che i bambini non suscitino tenerezza e che la Terra sia piatta, del resto.
Non si spaventi, per ora è un’iperbole: però sappia che a me non cambierebbe molto. Ho vissuto la maggior parte della mia vita disabitata, poi vissuta da soli pescatori, contadini e sarte: insomma, quel che voi chiamate ‘il mito’ lo sto ospitando solo recentissimamente. Lo tenga sempre bene a mente, questo: io sono solo un fortunato lancio di dadi in pietra, i giocatori siete voi”.

Il rumore della tazzina sul piattino suona come una sentenza: la porta è già aperta e il fidatissimo signore in camicia e gilet mi fa strada, come sempre, fin dalla soglia del salone.
“Grazie per avermi accompagnato, signor…signor?”
Pagano Giuseppe, per servirla”.

Altro che cameriere o custode: forse avrei fatto meglio a rivolgermi a lui dandogli del “notaio”!