Ritagli di tempo #16: La paura del contagio

di Michele Di Sarno

Stando ai documenti a disposizione di chi vi scrive, l’ultima volta in cui si è parlato sui giornali di un caso sospetto di colera a Capri risale al settembre del 1973, quando un bimbo di appena cinque mesi perse la vita al Capilupi per una gastroenterite che l’ufficiale sanitario volle approfondire (senza che vi sia stata data notizia dell’esito). Era il periodo in cui un blando ritorno dell’epidemia a Napoli fece 24 morti e una scia di pregiudizi che solo adesso – a fatica, se si pensa agli stadi – ci si sta scrollando di dosso.
Uno degli effetti collaterali di quella situazione fu il rinvio della classica rassegna Mare Moda edizione ’73, che si sarebbe dovuta svolgere in Piazzetta, proprio a settembre. In quegli articoli ritroviamo il termine “assembramento”, prepotentemente tornato di larghissimo uso oggi.

Molto tempo prima, nel 1884, nella sola Napoli, al pari della Sicilia e più di altre città italiane, il colera fece 8.000 morti. Un provvedimento – la celebre “Legge per Napoli” del 1885 – fu applicato per fornire alla città un adeguato sistema fognario nonché l’istituzione di norme igienico-sanitarie a cui tutti i cittadini dovevano attenersi. La situazione migliorò pian piano, fino ad un nuovo, molto più flebile, focolaio nel 1892-93, dove si torna a parlare di colera e, sempre in forma di sospetto, anche di Capri, come potete leggere nello stralcio del Corriere della Sera datato 11 settembre 1892.
Una ragazza di Marina Grande, vicina di casa di una donna di Amburgo portatrice – probabilmente in forma asintomatica – del vibrione, sarebbe stata contagiata e sarebbe quindi morta di colera, tra atroci dolori e cure vane, con la famiglia completamente isolata.

Colpisce la sovrapponibilità della terminologia con quella che sentiamo da un paio di mesi a questa parte nel nostro Paese, a testimonianza del fatto che, quando c’è un’epidemia nelle vicinanze, la gente ha bisogno di precise istruzioni e punti di riferimento per affrontare la propria, comprensibile paura.