L’effetto placebo del passato

di Michele Di Sarno. –

I social network sono la controparte virtuale di una Via “Le Botteghe” anni ’90, quando vi convivevano attività tra loro diversissime come griffes e salumerie, accomunate, però, da un concetto fondamentale: l’importanza della vetrina, indipendentemente da cosa si venda. Come ogni vetrina che si rispetti, ogni profilo social viene agghindato con qualcosa di sé o di ciò che si vorrebbe far credere di essere, ognuno con la propria strategia finalizzata a vendere bene la propria versione del presente: chi con sofferta autoironia, chi con finto distacco, chi lanciando messaggi volutamente malcelati, chi camuffando l’insicurezza ostentando le proprie espressioni oltre la soglia del credibile.
Ebbene, se questi descritti sopra sono atteggiamenti individuali, com’è fatta la “vetrina” di una comunità? Come esorcizziamo, noi isolani, l’evidente confusione sul nostro presente attraverso gli strumenti di comunicazione a disposizione? Semplice: esaltiamo il passato e tacciamo sul futuro.

Si moltiplicano, perché silenziosamente richiesti, i gruppi in cui si condividono momenti, scorci, negozi e persone dei decenni passati, ricordati quasi sempre con una nostalgia tra le cui righe si legge un velato disprezzo per ciò che c’è oggi e, in fondo, anche per noi stessi visto che l’oggi siamo noi, inevitabilmente.
Ad esempio, davanti a straordinarie foto di aree verdi che non ci sono più, malediciamo le case costruite come se in quelle case non ci fossimo noi, adesso.

È come se inconsciamente ci aggrappassimo all’unica certezza che abbiamo, ovvero ciò che è già avvenuto, per ritrovare le coordinate del nostro spazio a scapito di quelle del tempo, questo tempo che attraversiamo brancolando nella sua foschia a causa della quale non riusciamo a vedere molto più avanti rispetto ai nostri stessi passi.
Per quanto sia vero che il futuro non è prevedibile, non vuol dire che non sia almeno ideabile: perché abbiamo così tanto timore ad immaginare il nostro avvenire (naturalmente, quello collettivo)? Perché non riusciamo essere affamati di progettualità così come lo siamo di ricordi?

Proviamo a chiedere a noi stessi, ai più giovani e ai più vecchi come sarà la Capri del domani, come saranno le strade, i servizi, le abitudini e le relazioni. Diradiamo questa foschia, cominciamo a farci venire voglia di idee e di progetti a lungo termine.
Perché l’isola cambierà comunque, anzi, sta già cambiando: è oggi, però, che possiamo essere tra i protagonisti del cambiamento e non solo dei testimoni passivi.