Un’analisi approfondita de “L’amica geniale” (parte 3)

Un romanzo femminista?

Possiamo definire “L’amica geniale” un romanzo femminista? 

In un certo senso, possiamo ritenerlo tale per il modo in cui la storia ci viene raccontata. 

Il motivo per il quale la tetralogia ha ottenuto un tale successo risiede nel fatto che i romanzi che la compongono si propongano come nient’altro che la storia di un quartiere e delle persone, e soprattutto delle donne, che lo popolano.

La Ferrante racconta una storia di donne in modo estremamente diretto e brutalmente onesto, senza edulcorazioni, senza abbellimenti, proponendo soltanto la verità nuda e cruda. I temi affrontati non sono affatto straordinari: la narrazione si focalizza sulla quotidianità (certamente attorniata da eventi storici di grande rilevanza) ed esamina argomenti ed aspetti del reale, che sono solitamente trattati con banalità, quali la sessualità femminile, il matrimonio e la maternità. Ciò che è particolarmente interessante del modo che ha Elena Ferrante di affrontare determinati temi è la sua tendenza ad evitare di trattarli superficialmente, banalmente o in maniera stereotipata.

“L’amica geniale” è, oltretutto, femminista perché racconta della crescita individuale di due donne alle quali la vita non ha regalato nulla: Lila e Lenù crescono in un contesto difficile, in famiglie povere ed ignoranti, circondate da persone violente e maschiliste, minacciate dalla presenza costante del patriarcato e dall’unica prospettiva per le donne di essere prima mogli e poi madri. 

Fin da bambine, le due amiche sono costrette a combattere contro chi non le ritiene abbastanza, devono battersi per i loro diritti, soprattutto per il diritto all’istruzione. 

“L’amica geniale” è, infine, un romanzo femminista perché mostra i sacrifici che le donne hanno fatto per emanciparsi (non solo Lila e Lenù, ma tutte le donne nate e cresciute in un mondo nel quale l’indipendenza femminile era un’idea assolutamente inconcepibile) nel periodo delle lotte femministe, avvenute nell’Italia degli anni ’70. 

Sia Lila sia Lenù, in modi e in momenti differenti, rompono ed allontanano da loro stesse l’immagine della donna sottomessa al marito e costretta soltanto alla vita domestica nel ruolo di moglie e madre che, in primis, l’ambiente retrogrado dal quale provengono ma, più ampiamente, l’intera società, anche la parte di essa che appare più istruita ed intellettuale, impone loro. 

Maria Sofia Falco