Un caffè con Capri #8 – La cerimonia
di Michele Di Sarno. –
Giuseppe è vestito di tutto punto: frac, papillon e scarpe nuovissime. La curiosità di chiedergliene la ragione è interrotta dalla sua fretta: “Speravo si presentasse con un abbigliamento più consono: ad ogni modo, mi segua, presto!”.
Attraversiamo quasi di corsa il piccolo passaggio segreto dietro la macchina del caffè e, anziché passare per il solito cortile magico della Signora, prendiamo il breve vialetto sulla sinistra che dà su uno scalone alla fine del quale si entra in una splendida sala ottocentesca. Ci starebbero mille persone, ad un primo sguardo ne conto poco meno della metà e tutte rigorosamente distanziate.
Familiari, i volti in cui il tempo ha affondato il suo passaggio, levigando i sorrisi e imbiancando le cornici: sono gli anziani dell’isola, tutti rivolti con un’attenzione totale verso un palchetto alto pochi centimetri, segno di grande rispetto per la platea. Inadeguato, mi accomodo in fondo.
Nessun gioco di luce, nessuna musica d’introduzione: la Signora fa il suo ingresso con l’imponenza delicata che solo i monumenti hanno. Placa l’applauso dei presenti spingendo verso il basso le mani che non cedono nemmeno alla remota idea di lasciarsi tremare. L’emozione di cui si è liberata in un attimo, attraversa ora la platea, che tace.
“Per quanto mi sia fatta spesso portavoce della natura – perché natura sono – ritengo che l’essere umano si lasci preferire quando la curva del ponte impone la discesa. Il vecchio è disposto a mettersi da parte e a trascorrere in solitudine le piccole paure indotte dai pensieri amplificati dal silenzio: eppure, quando viene convocato per compiere l’ennesimo tratto di strada, anche il più prossimo alla resa riprende il passo del mondo che corre.
La vostra processione profana a cui ho assistito lo scorso fine settimana mi ha offerto un tepore tale da non accorgermi del freddo che, dicono, sia stato eccezionale. Il mio ringraziamento per aver deciso di vaccinarvi non suoni convenzionale: l’esempio è la sola parola che conta e voi l’avete gridata.
Nelle nebbie del futuro si intravede, finalmente, un orizzonte: per quanto potranno definirvi i più fragili della società, vi siete dimostrati – ancora una volta – i più forti.”
Gli occhi brillano di commozione, le spille che attestano l’avvenuta somministrazione sembrano splendere come medaglie: eppure, la platea non si alza col piglio del vincente ma con compostezza, chinando il capo, in onore di chi avrebbe voluto essere con loro e non ha fatto in tempo.
La Signora, com’è nel suo stile, non esce di scena ma scende a salutare i presenti, chiamandoli per nome.