Capri “isola-bolla”?
Michele Di Sarno. –
“Vulesse, Putesse e Facesse erano tre fessi”, suggerisce la cultura popolare quando si ha un’idea tardiva o quando la mente di tale idea poi non passa all’atto pratico. Tuttavia, se ne può ricavare qualcosa di buono se una visione fungesse da umile ispirazione.
A marzo, salvo ulteriori complicazioni, dovrebbe tenersi il Festival di Sanremo n.71, il primo nel bel mezzo di una pandemia, tanto che si era pensato addirittura di saltarlo, ma poi il desiderio di normalità, quantomeno apparente, ha prevalso nell’opinione pubblica e, soprattutto, nella RAI che ormai da undici anni consecutivi riesce a pagare le spese di organizzazione del Festival grazie alla pubblicità: tutto di guadagnato.
Quest’anno, il conduttore e direttore artistico Amadeus ha parlato dell’intenzione di noleggiare una nave-bolla sulla quale far soggiornare per una settimana il pubblico – composto da circa 500 persone – che andrebbe al teatro Ariston ad assistere alle cinque serate, costantemente soggetti a tamponi e a restrizioni in fatto di contatti. Misure che si estenderebbero ovviamente a tutta la macchina sanremese, dai cantanti agli ospiti, dallo staff nel backstage a tutte le attività collaterali.
Capri avrebbe potuto essere un’isola-bolla per un evento di tale portata? D’altronde, il contagio da Coronavirus è stato sempre sotto controllo, un investimento economico massiccio da parte della televisione sarebbe stato l’occasione per un sospiro di sollievo per qualche attività: un sospiro lungo appena una settimana ma, dopo mesi di “apri e chiudi”, diversi imprenditori ormai sarebbero risultati ben allenati a un’altra apertura-lampo, eventualmente.
Con “Capri, Hollywood” non ci si è riusciti perché si era in zona rossa ma sarebbe stato complesso anche con le attuali disposizioni, perché servirebbe comunque un budget molto importante che la RAI pure concederebbe ma per eventi più nazional-popolari rispetto al cinema che, purtroppo, sta diventando arte sempre più di nicchia.
Impensabile, ovviamente, voler trasferire il Festival della Canzone Italiana a Capri, per una questione di tradizione e di cultura nonché per l’importanza che questo evento ha per la città di Sanremo: ma sarebbe (o sarebbe stato, qualora davvero questo si dovesse rivelare l’ultimo inverno con la pandemia) così utopistico pensare all’isola come scenario per un grande – ma grande – evento a rischio sanitario zero per una settimana nel periodo gennaio-maggio?
Perché Sanremo è Sanremo, ma Capri…