Basta farci usare dalla tv

di Michele Di Sarno. –

Porta a Porta e Domenica In (Rai1), Pomeriggio 5 (Canale 5), Agorà, Buongiorno Regione e il TG3 regionale (Rai3). E ancora Non è l’Arena, Piazza Pulita e Tagadà (LA7). Poi il canale Ard (Germania) e, per ragioni di prossimità geografica, Telecapri, Teleischia e altre emittenti regionali.
Queste, le principali trasmissioni ed emittenti che, nell’arco di soli tre mesi, si sono prese la briga di sfidare il mare, il Coronavirus e il lockdown per realizzare il loro bel servizio particolare sull’isola di Capri in ginocchio e in affanno, talvolta lasciando in evidenza – grazie a sapienti montaggi – l’aspetto drammatico e pessimista, meno spesso l’orgoglio dei tanti che hanno voglia di ripartire. Nelle dirette, invece, è emerso – oltre ad un leggero fatalismo figlio dell’essere stati colti di sorpresa dalle conseguenze della pandemia – un buon senso di responsabilità e di adesione alle disposizioni nazionali e regionali, a discapito di quel folclore che gli autori delle trasmissioni, specie quelle condotte da Mara Venier e Barbara D’Urso, si aspettavano, decisamente invano.

Pensiamoci: tolti i servizi-cartolina estivi tipici di quando va tutto come deve andare e fatti salvi i documentari, tra cui quello straordinario spettacolo che è e resta Meraviglie di Alberto Angela, sono lontani i tempi in cui alcune delle trasmissioni televisive sopra menzionate ci prendevano bonariamente in giro per l’interruzione dei rapporti istituzionali, con la memorabile intervista al sindaco Scoppa al confine “sotto la Madonna”; la stessa ironia malcelata la si può ricordare quando, più indietro nel tempo, si provava a spiegare perché rientravamo, eccome, nel concetto di “isola svantaggiata”.
Poi? Niente più, a parte qualche blanda sottolineatura qua e là di “fattarelli” locali, quasi sempre appannaggio di La7, con servizi dal titolo “I furbetti della Grotta Azzurra”, “Come comprare una villa di lusso risparmiando sulle tasse” e “Guerra sulla Funicolare”.


La verità è che quando l’isola viene mostrata in televisione, noi isolani dovremmo cambiare canale o, quantomeno, non aspettarci di essere considerati: esiste Capri – e già è tanto – ma non i capresi. Siamo quattordicimila privilegiatissime nullità, per il resto d’Italia. Se vengono le telecamere, come detto, o è per riempire qualche stanca trasmissione “gossippara” estiva o è perché è successo qualcosa che si può definire, più o meno forzatamente, “bizzarro” al fine di buttarla in caciara. In questi tre mesi, invece, si è cavalcata l’onda del “niente sarà come prima”: quindi, mediaticamente, cosa si presta meglio a generare questo effetto straniante se non Capri, che almeno dal dopoguerra è paradigma dell’accoglienza turistica italiana? C’è da riconoscere, però, che questo ennesimo sfruttamento dell’immagine dell’isola, stavolta, ci ha lasciato finalmente una certezza: siamo telegenici pure nella cattiva sorte.
Siamo bravi a raccontare quel che stiamo vivendo, conosciamo bene casa nostra: chissà che a qualcuno non venga in mente di farci parlare, senza che dall’altra parte vi siano quei risolini superficiali, dei nostri problemi storici quali l’ospedale e i trasporti.
Che accada non per fare del vittimismo fine a sé stesso ma, almeno, per convertire questa recente sovraesposizione dell’isola, lasciata assurgere a simbolo della crisi del turismo, in una sfida per la Regione Campania affinché il rilancio totale riparta da qui, trasformando Capri – anche nei servizi – in quel gioiello che già per natura ci riconoscono di essere.