Ripartenza: il potere (pericoloso) delle parole
di Michele Di Sarno. –
Terminata la complessa “fase 1”, quella dell’emergenza sanitaria e delle scelte drastiche da parte dei politici in carica a tutti i livelli, da qualche settimana pensieri e parole della politica si stanno concentrando sulla ripartenza e sul contenimento dell’indiscutibile danno economico generale: le persone vogliono tornare a lavorare perché hanno paura di vivere con zero euro già da domani, se non da oggi o già da ieri.
Diversi, tra i rappresentanti eletti che settimanalmente o periodicamente fanno il punto della situazione in diretta Facebook o attraverso appositi comunicati, stanno adottando una particolare strategia di comunicazione: accentuare, rievocare continuamente il buon lavoro svolto durante la prima fase – mi viene in mente il buon De Luca che spesso usa il termine “miracolo” – lasciando intendere che per la ripresa economica a breve termine si farà il possibile e tutto quello che si riuscirà a salvare sarà merito di un altro “miracolo”, perché già è tanto aver contenuto l’epidemia ed evitato una “ecatombe” (termine abusatissimo sempre dal Governatore della Campania).
Quel “già è tanto che”, condiziona il modo di interpretare quel che è comunque una verità (ovvero: sarebbe potuta andare molto peggio in termini sanitari) affinché tenga quanto più possibile buona quella larga fetta di popolazione che è spaventata dalle conseguenze economiche del lungo lockdown.
Pensiamo a Capri: la stagione turistica “tradizionalmente” finirà ad ottobre anche quest’anno, nonostante la partenza tardiva prevista tra la seconda metà di giugno e inizio luglio, e malgrado il flusso dall’intero continente americano sia fortemente a rischio dato lo stato attuale dell’epidemia in quelle zone.
L’isola, quindi, vede paradossalmente sovrapporsi il concetto di “ripresa a breve termine” a quello di “ripresa a lungo termine”: dalla prima dipende inevitabilmente la seconda perché, preso o perso questo treno sgangherato, poi se ne parlerà ad aprile 2021, data la nostra – e mai rivista con decisione – stagionalità.
“Quattro mesi sono meglio di zero”, “Tre mesi sono meglio di zero”, “Tutto è meglio di zero”, direte voi e dico anch’io.
Attenzione, però, alla politica, che quello “zero” possibile (o che sarebbe stato possibile) ci tiene a metterlo in primissimo piano in ogni singolo comunicato, pur senza menzionarlo mai, in modo da far risaltare quel poco che si riuscirà a salvare come se fosse un prodigio, come se fosse più del massimo possibile dato quel che ci è successo, a livello nazionale, da marzo in avanti.
“Più del massimo”, semplicemente, è un’ipotesi che non esiste: quel che sarà possibile fare lo si calcola, lo si analizza e lo si farà (o no). Sarà molto difficile e andrà riconosciuto, ma appesantire ulteriormente un contesto al fine di trasformare l’ira e le aspettative della gente in sconforto e passività sarebbe una mossa non troppo leale, un vero colpo basso. E non ce lo meritiamo.