Quel che vive oltre la vita
di Michele Di Sarno.
Per una settimana, l’isola è diventata una grande e silenziosa sala d’attesa: chi crede nelle preghiere si è raccolto nella piccola chiesa costruita dentro sé, chi non crede ha sperato fino all’ultimo momento che quell’ultimo momento non arrivasse mai.
E non importa quale fosse il grado di confidenza di ciascuno di noi con Marco: occorre una prova di freddezza e di lucidità per poter lontanamente considerare la possibilità di morire a trent’anni o, anzi, l’eventualità di dover lottare per vivere.
I telegiornali riportano tragedie analoghe praticamente ogni giorno, è vero: per quanto ci possano colpire, le sentiamo sempre lontane perché i microcosmi (le singole persone, le famiglie, i paesini) sono gli unici appigli per resistere in un mondo permeato di ingiustizie, che siano esse volontà dell’uomo o meno.
Questa volta è diverso, c’è una famiglia e ci sono degli affetti a pochissimi passi da noi, perciò fa male a tutti indipendentemente dalla maniera in cui lo si dimostra, o non lo si dimostra.
Ci resti impresso, nel lunghissimo ricordo di queste giornate, l’esempio che ci lascia Marco nel consentire la donazione dei propri organi, nell’offrire ad un’altra storia la possibilità di avere un finale migliore: chi non l’ha fatto, se vuole, può disporre per la donazione degli organi al momento del cambio della carta d’identità, o compilando un apposito modulo presso l’ASL.